Un’abitudine diffusa può trasformarsi in un pericolo invisibile: tenere il riso cotto in frigorifero per più di un giorno aumenta il rischio di diarrea, febbre e dolori addominali, soprattutto nei soggetti più fragili.
Il riso è tra gli alimenti più consumati al mondo, presente nella quotidianità di milioni di famiglie. Non tutti sanno, però, che la sua conservazione dopo la cottura nasconde insidie poco visibili. A lanciare l’allarme è Cristina Lora, tecnologa e specialista in sicurezza alimentare, che durante un’intervista al podcast Hábito Zero ha sottolineato i pericoli di un’abitudine apparentemente innocua: lasciare il riso cotto in frigorifero per più di 24 ore.
Secondo l’esperta, consumare riso conservato troppo a lungo può provocare sintomi importanti come diarrea, febbre e dolori addominali. Un rischio spesso sottovalutato perché non immediatamente evidente: molte persone mangiano per anni riso avanzato senza mai accusare problemi, fino al giorno in cui l’organismo si trova esposto alla proliferazione batterica e reagisce con una vera e propria intossicazione alimentare.
Perché il riso è più pericoloso di altri alimenti
Non tutti gli alimenti si comportano allo stesso modo una volta cotti e refrigerati. Secondo Lora, il riso rappresenta un caso particolare perché può contenere spore di Bacillus cereus, un batterio resistente al calore che sopravvive alla cottura. Quando il riso cotto viene lasciato a temperatura ambiente o conservato in frigo troppo a lungo, queste spore possono germinare e produrre tossine.
La conseguenza è un rischio concreto di disturbi gastrointestinali che si manifestano poche ore dopo l’ingestione, con nausea, diarrea, febbre e dolori addominali. Non si tratta di episodi isolati: la letteratura scientifica riporta numerosi casi di intossicazioni legate proprio al consumo di riso conservato in maniera scorretta.

L’esperta precisa che questo fenomeno non si osserva con la stessa intensità in altri alimenti. La pasta, ad esempio, può essere conservata in frigorifero per due o tre giorni senza rappresentare un pericolo paragonabile. Nel caso del riso, invece, il limite resta tassativo: non superare le 24 ore.
A rendere il problema più insidioso è il fatto che il riso avanzato viene spesso consumato senza sospetti, magari in insalate fredde, timballi o piatti saltati in padella. In realtà, già dopo un giorno in frigo il rischio di proliferazione batterica diventa alto, specie se il raffreddamento iniziale non è stato rapido e corretto.
Chi corre più rischi e quali alternative esistono
Alcuni gruppi di popolazione risultano particolarmente vulnerabili alle conseguenze di un’intossicazione da riso mal conservato. Si tratta in particolare di donne in gravidanza, bambini piccoli, neonati e persone immunodepresse. In questi soggetti, l’organismo ha meno capacità di difendersi dalle tossine batteriche e le complicazioni possono essere più gravi.
Per ridurre i rischi, l’esperta consiglia di consumare il riso cotto entro le 24 ore, evitando di prolungarne la permanenza in frigo. In alternativa, è possibile ricorrere al congelamento, che consente di conservarlo più a lungo, anche se la consistenza e il sapore possono risultare alterati.
Un altro accorgimento fondamentale riguarda la fase immediatamente successiva alla cottura. Il riso non deve rimanere a lungo a temperatura ambiente: più tempo passa, più le spore batteriche hanno possibilità di svilupparsi. È importante quindi raffreddarlo rapidamente e riporlo subito in frigorifero in contenitori ben chiusi.
Alcuni chef e nutrizionisti suggeriscono anche di porzionare il riso avanzato in piccole quantità, così da agevolarne sia il raffreddamento che l’eventuale utilizzo in tempi brevi. Una scelta che riduce sprechi e rischi per la salute.